L’invasione dei rifiuti

 

La quantità di rifiuti di origine umana in mare e sulla costa è un fenomeno allarmante per l’alto grado di contaminazione dell’ambiente e del paesaggio marino che esso rappresenta. Il problema risalta alla vista soprattutto in quei mesi in cui la spiaggia non è sfruttata a fini balneari e in quei luoghi ritenuti marginali al turismo marittimo, proprio perché le operazioni di pulitura degli arenili sono considerate “antieconomiche” e affidate soltanto agli operatori balneari privati. Gli interventi pubblici sono spesso circoscritti ai tratti di spiaggia libera e solo nel periodo di maggior affluenza turistica. Per il resto dell’anno, la costa è terra di nessuno, destinata per incuria e negligenza a “mondezzaio diffuso” della civiltà odierna, in attesa di iniziative di pulizia manuale da parte di gruppi di volontari, tanto che ormai i rifiuti plastici sono diventati parte del paesaggio marino.

È capitato non di rado, a chi si ostina tenacemente a combattere l’invasione del pattume, memoria di un’umanità sempre più indifferente al valore e al rispetto del creato, di dover sfilare un pezzo di polistirene dal giunco di una cannuccia che si è fatta largo tra i suoi polimeri, oppure di dover strappare una bottiglia di plastica dal pietrisco della falesia a cui è stata fusa dal sole e dalla pressione atmosferica, fossile di un’epoca chiamata Antropocene. Purtroppo, se queste forme di assimilazione del detrito plastico possono offrire un’immagine di equilibrio del creato e ricomporre le coscienze di quanti, pur denunciando il problema, non fanno nulla per risolverlo, è acclarato quanto la plastica, se dispersa o utilizzata impropriamente, sia dannosa agli ecosistemi naturali e all’uomo per il suo bassissimo grado di biodegradabilità (talvolta 1.000 anni), la tossicità di alcuni suoi componenti chimici e i danni che può causare agli animali che la ingeriscono. Ad esempio, delfini, capodogli, tartarughe e uccelli marini ingoiano spesso i sacchetti di plastica galleggianti scambiandoli per cefalopodi (seppie, totani, calamari, ecc.) com’è testimoniato da esami sugli individui spiaggiati. Anche le cicche di sigaretta nuocciono all’ecosistema marino perché portano alla morte i pesci che le ingeriscono accidentalmente. Ciò ha spinto l’associazione Marevivo a lanciare la campagna “ma il mare non vale una cicca” proprio per combattere il malcostume di spegnere e abbandonare le sigarette in spiaggia. A chi pulisce a mano gli arenili (la pulizia manuale è meno impattante di quella meccanica sui fragili ecosistemi costieri) non sfugge il gran numero di stecche di leccalecca in plastica e di frammenti di polistirene delle casse per il trasporto del pesce pescato, abbandonate alla deriva, volontariamente o accidentalmente, dai pescatori. Un tempo si usavano delle ceste in vimini, poi si è pensato che il polistirene fosse più igienico. Ne siamo veramente sicuri?

Si spera che gli organi internazionali intervengano per limitare fortemente la produzione di oggetti di plastica, come in parte sta già avvenendo con i sacchetti della spesa, per contenere l’inquinamento del nostro pianeta che, non bisogna dimenticarlo, è coperto per il 70% da oceani, mari e laghi.

Mario Cipollone

Vedi anche il post “Rifiuti, questione di civiltà