Genius loci in pericolo

 

Tempo fa Noi Cerrano dedicava un articolo al concetto di genius loci, ovvero la somma delle caratteristiche peculiari in grado di esaltare un territorio e distinguerlo dagli altri. La principale minaccia alla conservazione del genius loci è rappresentata dall’omologazione, tanto più incombente in una società sempre più globalizzata come la nostra.
Dispiace notare che, al contrario delle belle parole spese negli incontri pubblici e nelle interviste televisive, la classe politica che amministra l’Abruzzo continua a vedere per la costa della nostra “Regione Verde” un solo genius loci possibile, quello del cemento. Tanto al livello di “campanile” che regionale, si preferisce ignorare la serie di cambiamenti che stanno investendo quei sistemi economici legati allo sfruttamento turistico-ricettivo della costa, preferendo perseverare nelle aberranti scelte del passato, anziché notare che turisti sempre più orientati verso la naturalità degli ambienti e servizi eco-friendly puntano a quelle destinazioni che conservano una maggiore genuinità, magari a prezzi più contenuti.

Così la Regione Abruzzo intende modificare il Piano Demaniale Marittimo rimettendo alla discrezionalità dei Comuni la quota da riservare alle spiagge libere (che nelle ultime stagioni sono state sempre più prese d’assalto dai bagnanti) e favorendo un’ulteriore cementificazione della costa e il suo sfruttamento da parte degli operatori balneari (gli stessi che lamentano da anni una diminuzione sempre maggiore di presenze, legate a fattori economici e climatici), mentre a livello locale si vogliono spendere notevoli risorse economiche per contrastare l’erosione della costa, aumentata proprio dalla pesante urbanizzazione, dal dragaggio e dalla captazione dei fiumi, con conseguente riduzione dell’apporto di sedimenti, ricorrendo ai soliti vecchi sistemi di dubbia efficacia e di sicuro impatto sulla naturalità dei luoghi e del loro genius loci.

Questo sarebbe ancor più evidente a Pineto, dove si vorrebbero installare delle barriere soffolte dinanzi alla spiaggia del quartiere Villa Ardente per contrastare la preoccupante erosione di quel tratto di costa. Il costo dell’operazione è stato stimato in un milione di euro, i danni al paesaggio e al genius loci incommensurabili. La bellezza di Pineto è proprio dovuta a un mare “aperto”, ma la soluzione globalizzante è anche la più accattivante per chi non mostra il coraggio di sperimentare soluzioni più naturali, meno costose e soprattutto meno impattanti. La ricostituzione della duna, oggi inesistente nel tratto in questione, probabilmente non risolverà i problemi di erosione della costa, soprattutto se si continuano a ventilare progetti di intubazione del fiume Vomano, ma perché non tentare? Quanto costerebbe? Non è forse vero che il mare continua a fare come vuole, nonostante i pennelli verticali o le scogliere orizzontali? Non lo testimoniano forse il litorale sud di Pescara o alcuni tratti della spiaggia di Montesilvano, sebbene siano stati muniti da decenni ormai di barriere frangiflutti? E i pennelli verticali nella zona di Villa Fumosa di Pineto non dovevano fermare l’impietramento proveniente dalla foce del Vomano? Al contrario, in località tra loro geograficamente così distanti come Marina di Casalbordino e Martinsicuro, non sono forse i tratti di costa più naturali quelli che hanno dimostrato di resistere meglio all’erosione? Non pretendiamo di avere ragione, ma cerchiamo solo di studiare la storia di questi interventi costosi, difficilmente reversibili e troppo spesso inefficaci, e proporre una soluzione semplice e logica, ovvero ripristinare o aumentare la naturalità dei luoghi per renderli il vero genius loci di Pineto (e non solo), la “cartolina” che i turisti conservano nella memoria e che li spinge a tornare. È vero, le barriere frangiflutti fungeranno da rifugio per diverse specie marine, ma aumenteranno la produzione di lattuga di mare (Ulva lactuca) e il ristagno dell’acqua, con conseguente perdita di trasparenza e attrattiva turistica, oltre al rischio di diffusione di alghe tossiche. Siamo sicuri che sia questo il prezzo da pagare in un momento di crisi collettiva, solo perché si vuol continuare a credere che sia l’uomo a correggere le imperfezioni della natura e non viceversa?

È opportuno che si rifletta su una cosa: è veramente interesse della comunità, interesse pubblico, vedere spesi tanti soldi per interventi “tampone”, il cui risultato, per via delle numerose variabili in gioco, non è per nulla assicurato, vista anche la storia e la cronaca più o meno recente? Investimenti per interventi di così grande impatto, che partono dal problema dell’erosione delle coste, sarebbero giustificabili forse solo se si pensa di costruire spiagge artificiali come quelle di Dubai. Ma davvero vorremmo qualcosa del genere? Non vorremmo, invece, che fosse salvaguardata l’identità del nostro territorio?